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I problemi della Sanità Pubblica: pochi medici e spesso anziani

La Sanità Pubblica in Italia va oggi incontro ad una serie di difficoltà che, se non debitamente affrontate, potrebbero rischiare di comprometterne la sua natura di servizio pubblico garantito e minarne i presupposti.

Analizzando i recenti dati trasmessi dal Centro Studi Nebo con il suo Rapporto Sanità 2019, infatti, ci accorgiamo di come il bilancio a partire dal 2010 sia del tutto negativo, con una quota di perdita di professionisti del settore che è arrivata al 6,6%.

Sono ad oggi 670 mila gli individui impegnati nella sanità, a fronte dei 707 mila di inizio decennio, considerando in queste cifre i medici, gli infermieri e tutti gli altri operatori sanitari, così come i profili tecnici e professionali che ricoprono ruoli all’interno delle amministrazioni o delle direzioni, operanti all’interno delle 201 Aziende Sanitarie (AS) censite nel 2017 tra Aziende Sanitarie Locali (ASL) e Aziende Ospedaliere (AO).

Incrociando gli indicatori del personale effettivo in servizio (dipendenti a tempo indeterminato e determinato, full e part time) con quelli del personale equivalente, stimato a seconda delle mensilità stipendiali erogate, si arriva quindi ad una cifra che ci indica le unità di personale effettivo e che equivale a 633.000 dipendenti con contratto a tempo indeterminato (50.000 dei quali a tempo parziale) e 36.000 professionisti a tempo determinato. Ecco quindi che valutando orari e periodi effettivi di servizio svolto possiamo calcolare la preoccupante diminuzione del 6,6% di cui sopra. Entrando nello specifico, il calo si registra maggiormente all’interno dei quadri dirigenti e amministrativi (-12,4% rispetto al 2010), passati dalle 75.000 alle 66.000 unità, e nel comparto tecnico-professionale, che invece ha visto una riduzione dell’8,6% nello stesso arco di tempo con un organico sceso di oltre 10.000 professionisti. Senza considerare i veterinari, anche il numero dei medici è diminuito del 7%, con un calo pari a 7.600 professionisti, così come gli infermieri e il personale di riabilitazione che sono scesi di circa 12.500 operatori (-4,4%).

A pesare sulle decisioni delle Regioni, però, hanno contribuito i relativi Piani di rientro che hanno imposto interventi netti in termini di costo del personale che si sono tradotti, spesso e volentieri, in un netto stop alle assunzioni.

Non è casuale, infatti, che il problema viene riscontrato principalmente in Abruzzo, Molise, Puglia, Sicilia, Lazio, Campania e Calabria, tutte Regioni soggette ai cosiddetti Piani di rientro. Le ultime tre, in particolare, hanno registrato un calo di addirittura 17/18 punti percentuale per alcune categorie di professionisti, mentre se ci focalizziamo soltanto sui medici le cifre salgono invece al -33% per il Molise, -20% per il Lazio, -17% in Campania, -15% in Calabria, -14% in Sicilia e -11% in Liguria[1].

Sembra quindi inevitabile lo scenario che medici, operatori e professionisti vari del settore sanitario denunciano da anni, e cioè che non si intravede una quantità di figure sufficienti a sostituire tutte quelle che andranno in pensione nell’immediato futuro. Come si può leggere anche nel preziosissimo testo La salute (non) è in vendita del Prof. Giuseppe Remuzzi, infatti, “nei prossimi 10 anni 33.392 medici di medicina generale e 47.284 medici ospedalieri cesseranno la loro attività per raggiunti limiti di età, più di 80.000 in tutto[2].

Gli effetti si sono già palesati in alcune Regioni, come mi è già capitato di scrivere, con il Molise e il Veneto costretti ad autorizzare contratti a tempo determinato a medici già pensionati. Ad oggi, oltre al tentativo del Ministro della Salute Giulia Grillo di introdurre misure a breve impatto come il recentissimo Decreto Calabria entrato in vigore il 3 maggio e, quindi, non ancora testato, non sembra esserci nessuna programmazione in tal senso.

L’altro grande problema di fondo, infatti, riguarda proprio l’età del personale sanitario, che attualmente si stabilizza intorno alla media di 51 anni e cioè di 3 anni in più rispetto al 2010, come ci indica lo stesso Centro Studi Nebo con il suo Conto Annuale del Personale della Pubblica Amministrazione della Ragioneria Generale dello Stato. In questo report, infatti, la sola categoria con una media di età inferiore ai 50 anni è rappresentata dagli infermieri, i quali però nel periodo analizzato hanno subito un “invecchiamento” di ben 4 anni.

Ci troviamo oggi con un personale medico e tecnico-professionale che si aggira intorno ai 53 anni medi, superato soltanto dal personale di direzione che con i suoi 53,4 anni di età media si aggiudica il primo posto in termini di gruppo con il più alto avanzamento di età a partire dal 2010, quando la media si assestava sui 49,7 anni.

Al di là delle differenze di genere, per le quali le donne che cominciano finalmente ad imporsi in questo mestiere sono omogeneamente distribuite a seconda dell’età (soprattutto perché, tra la generazione di medici over 60, erano in netta minoranza rispetto agli uomini), “nell’area sanitaria

in quella tecnico-professionale e di direzione e amministrazione la fetta più grossa di personale ha fra i 55 e i 59 anni.  Sul totale del personale il rapporto femmine/maschi è di 2 a 1, determinato da valori che disaggregati per area raggiungono le 3,5 donne infermiere per ogni maschio infermiere, e scendono via via fino a invertirsi fra i medici dove contiamo oggi 8 donne ogni 10 medici uomini”.

L’incremento di età media dal 2010 al 2017 si registra in tutte le Regioni, ma cambia nei diversi contesti a seconda delle nuove assunzioni. Se guardiamo infatti al totale del personale possiamo registrate un gap che va da un tempo poco inferiore a un anno per la Sardegna agli oltre 4 anni per la Liguria, con un divario che raggiunge addirittura gli 11 anni se confrontiamo la Provincia Autonoma di Trento (la zona con l’età media del personale più bassa – 45 anni) con il Molise (la Regione con la più elevata media d’età – 56 anni). Tra le zone under 50 in questa particolare graduatoria si annoverano la Val D’Aosta, il Friuli, il Veneto, l’Emilia, la Lombardia e le Marche, mentre a la Campania e la Sicilia si avvicinano a quota 55 anni.

Se andiamo a considerare il divario generazionale medico ci accorgiamo di come esso sia ancora più marcato, con l’età media molisana che si aggira sui 58 anni, quella campana sui 57 e in Sicilia 56, mentre in Trento e in Friuli le cifre si abbassano di quasi dieci anni. È indicativo, oltretutto, che sulle 200 Aziende analizzate e presenti nel rapporto sopracitato le prime 35 vengano ricoperte esclusivamente da ASL e AO del Meridione e del Lazio. Tra le prime 100 posizioni, infatti, sono soltanto 25 quelle che si collocano al Nord Italia.

È perciò facilmente ipotizzabile che, quando avverrà il momento del passaggio di testimone tra le generazioni operanti nel Servizio Sanitario Nazionale, considerando tutte le difficoltà di rinnovamento dello stesso e gli effetti a imbuto che il percorso di professionalizzazione è chiamato ad affrontare, quelli che sembrano singoli problemi territoriali si uniranno per formare un’enorme emergenza nazionale, con l’intero Sud Italia chiamato a gestire enormi carenze di personale[3].

Ignazio Marino


[2] G. Remuzzi, La salute (non) è in vendita, Editori Laterza, 2018, Bari