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L’Italia senza medici: un’emergenza che Governo e Parlamento non affrontano

È ormai passato qualche mese da quando Concita De Gregorio ha pubblicato su Repubblica una lettera di una giovane mamma laureata in medicina che raccontava come la figlia “come altre sue colleghe e colleghi, [avesse] lavorato con serietà e costanza, laureandosi alla prima sessione del sesto anno”. La missiva, però, denunciava che “i test di ammissione ai corsi di Specializzazione si sono rivelati una prova ostica non per la preparazione scientifica, ma per l’aspetto psicologico”. Inoltre, “i posti a disposizione degli aspiranti sono all’incirca la metà. Significa che, secondo i politici e chi amministra la sanità sarebbero serviti solo la metà degli studenti ammessi in facoltà sei anni prima? O che solo la metà dei laureati italiani è meritevole di continuare il percorso di formazione obbligatoria per accedere al Servizio Sanitario Nazionale?".
Sono domande che fanno intendere come, a torto, sia quasi passata l’accezione per la quale la professione del medico possa in fondo essere ‘fungibile’, magari sostituibile dallo sviluppo tecnologico. Anche il Dott. Aldo Di Benedetto d’altronde, quando ha scritto l’articolo Il Medico del futuro: un robot in camice bianco, ha scritto nero su bianco come “si è diffusa una aspettativa e una credenza per la quale la tecnologia potrà guarire i malati e proporre attività di prevenzione; in un futuro, forse prossimo, sostituire l’attività del medico”.
Ma non possiamo non considerare quanto detto anche dal Dott. Giampaolo Collecchia, che spiegava come “i sistemi di Intelligenza Artificiale [debbano] essere considerati uno strumento, come il microscopio, il fonendoscopio, l’elettrocardiografo, sviluppati nel tempo per sopperire alla limitata capacità percettiva dei medici. I risultati migliori”, proseguiva lo stesso, “sono attesi quando l’Intelligenza Artificiale lavora di supporto al personale sanitario”.
Esiste inoltre il tema del trasferimento di competenze avanzate verso altre figure del personale sanitario.
È quanto già avviene sistematicamente altrove, come ad esempio negli Stati Uniti, dove “il futuro della primary care […] sarà dominato dagli infermieri con competenze particolari che li avvicinano molto ad un medico di medicina generale, i cosiddetti nurse practicioner (NP). Sono competenti, piacciono ai pazienti e costano il 30% circa in meno di un medico di famiglia[1]. A cosa porterà tutto questo se non ad una sistemica e graduale esclusione di medici-specialisti dall’offerta sanitaria?
Come spiega Carlo Palermo, segretario nazionale Anaao Assomed, “gli ospedali e in primo luogo i pronto soccorso sono in affanno in molte regioni”, e ad affrontare l’affluenza di pazienti, stando ad un’analisi del Conto annuale dello Stato, si calcola che vi siano addirittura 8.000 specialisti in meno in Italia, di quanti ne siano necessari. Con l’aggiunta del blocco delle assunzioni per sostituire i medici che vanno in pensione, poi, arriviamo ad una situazione di emergenza in molte regioni del Sud come il Molise, il Lazio, la Calabria, la Sicilia e la Campania. "In particolare”, sottolinea lo stesso Palermo, “dal 2009 in Molise si è registrato un 39% in meno di dotazione di personale. Ma ad essere in affanno sono anche altre regioni che, per vari motivi, partivano nel 2009 già da una dotazione di organico più bassa delle altre, come il Veneto e il Piemonte. In particolare, se guardiamo la dotazione di medici ospedalieri per 100.000 abitanti, il Veneto ne ha 30 in meno rispetto ad esempio all'Emilia Romagna. Dobbiamo ricordare poi che la riduzione della spesa per il personale è stata in questi anni il bancomat di molte aziende sanitarie, per ottenere un equilibrio di bilancio".
Pare quindi che tra la carenza a monte, “la gobba pensionistica a cui si somma Quota100” e la commercializzazione del mercato sanitario alle prese sempre più con concorrenze private e straniere capaci di garantire una migliore busta paga, “il trend [sia] quello di un’uscita dei professionisti dal Servizio Sanitario Nazionale[2].
In una recente intervista lo stesso Ministro della Salute Giulia Grillo ha confermato l’emergenza di un settore, quello sanitario, definito dalla stessa “asfittico anche nelle zone migliori”. Ammette che c’è bisogno di un serio investimento, anche se “ci vorranno anni, in ogni caso, per aggiustare i guasti”, per dotare i professionisti di stipendi più alti con l’obiettivo di “evitare le fughe” e di “incentivi a chi sceglie specialità trascurate come anestesia”.
Sembra ormai evidente a tutti, quindi, che “l’Italia è senza medici” e che “pensionamenti e ferie costringono gli ospedali da Nord a Sud a ridurre i ricoveri e gli interventi”. Non possiamo pensare che l’utilizzo di camici bianchi militari o già pensionati possano risolvere una crisi che è sistemica.

Ignazio Marino