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Medicina generale e sanità territoriale, rimettiamole al centro del Sistema

In Italia vi è la necessità di ripensare il Servizio Sanitario Nazionale restituendo alla medicina territoriale il suo ruolo, che è quello di soggetto indispensabile volto alla cura delle malattie croniche, al coordinamento della salute delle persone e al primo soccorso medico.

Tutti abbiamo assistito, tristemente, alle grida di allarme pervenute in queste settimane di emergenza sanitaria da parte del personale medico di tutta Italia, che ha ripetutamente denunciato come i posti a disposizione per i ricoveri urgenti fossero già da tempo al collasso.

È per lo stesso motivo che molte delle proposte giunte da chi lavora nel campo medico su come gestire la situazione post-emergenziale si sono concentrate sull’esigenza di ridare centralità alla medicina generale e alla prima assistenza territoriale, condizioni che sicuramente contribuiscono a prevenire la nascita di nuovi focolai e la confusione dei pazienti.

Ovviamente in una situazione straordinaria come quella che stiamo vivendo schierare i medici generali nel contrasto al COVID-19 non può prescindere dall’adozione di tutte le precauzioni volte ad evitare che lo stesso professionista venga contagiato.

Purtroppo, non possiamo pensare che tutto si digitalizzi automaticamente. Immaginare in Italia una simile rivoluzione operativa nell’immediato non è realistico.

Nonostante quindi il dibattito politico si sia trasformato in uno scontro tra chi ritiene la medicina di prossimità inutile, come nel caso della Regione Lombardia, e chi, invece, la ritiene completamente digitalizzabile, non possiamo non considerare che il rapporto personale tra un paziente e il suo medico dovrà continuare ad esistere se vogliamo una medicina umana. È indispensabile fin da subito agire per programmare ogni possibile protezione idonea, analizzando la distribuzione della medicina di prossimità nel Paese[1].

Soltanto attraverso una valorizzazione attenta e capillare dei medici di base saremo in grado di intercettare tutte le necessità dei pazienti. Come ha recentemente affermato anche il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri: “la medicina territoriale va sicuramente potenziata. Non si può programmare una riapertura senza avere certezza dei servizi sanitari territoriali dei medici di medicina generale e dei medici competenti in sanità pubblica, e dell’utilizzo dei tamponi”. Per poi aggiungere come “nella fase 2 dovrebbero essere i medici di base a eseguire i tamponi: è necessario che il territorio risponda ma che gli vengano anche dati gli strumenti per farlo[2].

Ridurre il ruolo della medicina di prossimità significa ridurre drasticamente le possibilità diagnostiche e questo aumenta la pericolosità di una malattia, specialmente in una situazione di emergenza.

D’altronde sarebbe sufficiente affidarsi alle osservazioni di tutti quei professionisti che stanno curando gli ammalati di Coronavirus. Ho trovato infatti prezioso il contributo che hanno voluto dare 70 medici generali della Lombardia che hanno redatto un vero e proprio manifesto operativo volto alla gestione del COVID-19. Il loro documento sottolinea con chiarezza come soltanto mediante un alleggerimento dell’attuale sistema sanitario “ospedalecentrico” si possa efficacemente affrontare e superare una pandemia.

La soluzione per convivere e avviare una Fase 2 nella sanità è individuare ospedali di piccole medie dimensioni da adibire totalmente al servizio per i pazienti infettivi, con i diversi livelli assistenziali relativi e personale volontario e comandato che sia residente nella struttura, con percorsi e passaggi obbligati e con tutti i dispositivi di protezione personale per la sicurezza dei lavoratori” hanno affermato. Inoltre, si dovrebbe ampliare l’assistenza territoriale così da ridurre quel 24,7% dei contagi, registrato dall’Istituto Superiore di Sanità, avvenuti in ambito familiare a causa dell’aver delegato l’assistenza ai soli familiari[3].

I presupposti ci sono, e si possono già vedere realizzati in alcuni territori virtuosi che per primi, negli anni passati, hanno attuato una riorganizzazione sanitaria basata sulla prossimità.

Come ad esempio l’Usl Umbria 2, che negli anni passati ha istituito “le Usca, Unità Speciali di Continuità Assistenziale, oggi presenti in tutti i distretti sociosanitari di Terni, Foligno, Narni-Amelia, Spoleto, Orvieto e Valnerina, affiancandole al prezioso lavoro dei medici di medicina generale, ai servizi di prevenzione e alle attività di sorveglianza attiva e domiciliare”. Si tratta di “un’attività di monitoraggio capillare nei territori di 12 ore al giorno, sette giorni su sette, a cui hanno aderito molti professionisti neolaureati che con grande passione per il proprio lavoro e generosità sono parte attiva di questa difficile sfida”, come spiega il commissario straordinario dell’Azienda, attività, che sono indispensabili alla prevenzione e al contenimento del contagio[4].

La strategia migliore per intervenire sul contenimento della pandemia e quindi su una sua più lungimirante gestione, dunque, sembra essere la stessa che ha indicato anche un recente comunicato inviato dalla Fimmg (Federazione Italiana Medici di Famiglia) al Ministro Roberto Speranza. All’interno di questo documento, infatti, si può leggere come nel prossimo futuro bisognerà concentrarsi su “prossimità̀ e pro-attività̀ per modificare l’attuale paradigma assistenziale, troppo centrato su una prospettiva specialistica e ospedalo-centrica e rendendolo più sostenibile”. Nel documento si augura lo sviluppo di un “Piano Nazionale che sappia coordinare gli interventi in maniera efficace, evitando che iniziative eccessivamente localistiche e non coordinate possano compromettere i grandi sforzi e sacrifici che tutta la Comunità Nazionale ai vari livelli sta compiendo”, una vera e propria rivoluzione nella distribuzione e nel monitoraggio dei fondi destinati alle varie realtà nazionali[5].

Bisogna insistere sul rafforzare il rapporto tra medico e paziente, potenziandone di conseguenza il livello di cure e di assistenza fino a ristabilire quel ciclo di fiducia che è proprio della medicina generale e che ne rappresenta lo strumento più efficace.

Ignazio Marino


[5] https://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=84242