Il Comitato Nazionale per la Bioetica si esprime sull'anonimato tra donatore e ricevente nei trapianti d'organo
Con questo breve intervento torno ad esprimermi a favore della derogabilità dell’anonimato tra donatore e ricevente nella fase successiva ai trapianti d’organo, quando sussista un forte reciproco desiderio e un apposito accordo informato tra le parti.
É di qualche giorno fa la buona notizia che il Comitato Nazionale per la Bioetica ha risposto a un quesito avanzato dal Centro Nazionale Trapianti (CNT): “Se l’obbligo all’anonimato a cui è tenuto il personale sanitario amministrativo in base all’art. 18, comma 2, Legge 1 aprile 1999, n. 91, possa essere derogato su accordo delle parti previa firma da parte di entrambe del consenso informato”, dimostrando un’apertura, mai avuta in passato, alla possibilità di incontro tra famiglie del donatore e ricevente. (Fonte: Comitato Nazionale per la Bioetica)
La risposta del Comitato, in un documento approvato nel corso della Plenaria del 27 settembre 2018 e pubblicato sul sito web dell’Organo il 3 ottobre 2018, rappresenta un passo avanti molto importante su una delle questioni etiche più complesse e discusse: la necessità o meno di conservare l’anonimato del donatore e del ricevente per sempre dopo un trapianto.
Per promuovere questa causa, in passato, mi sono mobilitato in prima persona con interventi e azioni di vario genere: articoli, lettere, raccolte di firme, pubblicazione di video e anche dedicando, quando ero Sindaco di Roma, una piazza a Nicholas Green, il bambino americano assassinato da alcuni malviventi in un tentativo di rapina nel 1994 durante un viaggio di piacere in Italia. I genitori di Nicholas decisero di donare tutti i suoi organi e, grazie a questi, furono salvate molte vite di italiani –ho parlato della vicenda di Nicholas Green in un articolo su questo blog (link ad articolo su blog).
Oggi, nel nostro Paese, poiché esiste una legge che obbliga il personale sanitario a mantenere l’anonimato, donatore, famiglia del soggetto deceduto e ricevente non hanno la possibilità di conoscersi, né prima né dopo il trapianto.
Da chirurgo dei trapianti e da persona che ha avuto la gioia di assistere migliaia di pazienti, penso che l’anonimato debba essere sempre preservato nella fase antecedente al trapianto, per evitare possibili accordi con finalità di lucro e conservare il significato profondo di dono disinteressato a qualunque essere umano si trovi nelle condizioni di aver bisogno di un organo per poter vivere.
Successivamente, ritengo che nel rapporto tra i familiari di un donatore di organi deceduto e il soggetto ricevente debba essere mantenuto inizialmente un grande riserbo, per esempio, evitando articoli sui giornali che rendano immediatamente riconoscibili donatore e riceventi.
Tuttavia, penso che, se esiste un reciproco desiderio di incontro, siano assai sagge le norme e la prassi utilizzate negli USA dove, a distanza di tempo e attraverso procedure rigorose, la famiglia del donatore può incontrare i riceventi degli organi donati dal proprio congiunto. Si stabilisce un rapporto emotivamente forte e gratificante che rende ancora più profondo quel meraviglioso gesto di generosità umana che è la donazione degli organi per salvare altre vite quando la nostra si è spenta.
Nell’analisi del Comitato Nazionale per la Bioetica viene distinto il momento antecedente al trapianto da quello successivo all’avvenuto trapianto e vengono riportate le diverse correnti di pensiero a favore dell’anonimato e a favore dell’identificazione, delineando una via intermedia nell’ambito di possibili incontri tra le parti.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, per la prima volta, ha ritenuto legittimo chiedersi se la condizione dell’anonimato costituisca una esigenza indispensabile per garantire la spontaneità del dono degli organi fra estranei, caratterizzato da disinteresse e solidarietà.
Il Comitato ritiene che: «L’anonimato è un elemento di cautela al fine di evitare la commerciabilità degli atti di disposizione del corpo, ma può essere ritenuto non irrinunciabile. In tal senso, il trapianto si può configurare come dono, anche senza la necessità dell’anonimato: ciò che importa è che sia avvenuto al di fuori di una logica meramente strumentale, produttivistica, cioè di una logica priva di umanità». (Fonte: PARERE IN MERITO ALLA CONSERVAZIONE DELL’ANONIMATO DEL DONATORE E DEL RICEVENTE NEL TRAPIANTO DI ORGANI, Comitato Nazionale per la Bioetica)
Si afferma, dunque, che l’anonimato è «un requisito indispensabile nella fase iniziale della donazione degli organi, per conservare le caratteristiche di equità, garantiti da considerazioni rigorosamente oggettive, basate su criteri clinici e priorità nella lista e per evitare possibili compravendite; ed è altrettanto indispensabile nella fase successiva, a trapianto effettuato, se entrambe le parti coinvolte non manifestano alcun consenso libero, valido ed informato verso la possibilità della reciproca conoscenza».
«Nella fase successiva al trapianto la possibilità che il donatore, la famiglia del donatore deceduto e il ricevente, trascorso un ragionevole lasso di tempo, diano un consenso libero, valido e informato per avere contatti e incontri non è contraria a principi etici che caratterizzano la donazione degli organi, e che l’anonimato possa essere rimesso nella libera e consapevole disponibilità delle parti interessate, dopo il trapianto, per avere contatti ed incontri».
Alcune considerazioni importanti vengono formulate circa le modalità delle dichiarazioni di volontà delle parti: «Va chiarito ai soggetti interessati che la conoscenza della identità dei donatori non è una pretesa, ma una possibilità eticamente giustificata a determinate condizioni». Inoltre «se il donatore, prima del decesso o in qualsiasi momento della sua vita, ha manifestato la volontà che venga mantenuto il proprio anonimato anche nella fase successiva del trapianto, tale volontà dovrà essere rispettata».
Il Comitato, infine, dedica un paragrafo del testo ad alcune linee guida per una corretta gestione dei casi specifici: «Il futuro ed eventuale rapporto fra donatori e riceventi dovrà comunque essere gestito da una struttura terza nell’ambito del sistema sanitario, attraverso gli strumenti che si riterranno più idonei di modo che sia assicurato il rispetto dei principi cardine dei trapianti (privacy, gratuità, giustizia, solidarietà, beneficienza)», e auspica che il modello base sia predisposto preferibilmente dall’Istituto Superiore di Sanità, e quindi che sia valido per tutto il territorio nazionale.