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Le differenze sociali ostacolano l'accesso alle cure mediche: è necessario agire per eliminare le diseguaglianze

La sanità pubblica italiana, purtroppo, dimostra una differenza notevole per quanto riguarda l'accesso alle cure mediche: i dati dimostrano che le persone di sesso femminile sono svantaggiate rispetto ai maschi e lo stesso accade per le persone che vivono al Sud rispetto a chi abita al Nord.

I numeri fanno riflettere più di molte parole. L'aspettativa di vita tra femmine e maschi si distanzia di 4,5 anni (le donne sono da sempre più longeve), ma la qualità della vita e la salute sono molto diverse tra Nord e Sud. Gli anziani che vivono al Sud sono in cattiva salute nel 58,2% dei casi, mentre al Nord questa condizione riguarda soltanto il 49,9% della popolazione. Una differenza che non investe soltanto gli anziani, visto che, in generale, la precarietà di salute riguarda il 20% dei meridionali a fronte del più ristretto 17,7% degli abitanti del Centro-Nord Italia[1].

All'interno di un sistema sanitario universalistico come quello italiano non dovrebbero esistere differenze nell’accesso alle cure: è un principio fissato nell’articolo 32 della nostra Costituzione. Invece, anche nella salute, il divario socio-economico tra le persone determina un peggiore accesso alle cure.

Il direttore scientifico dell'Osservatorio sulla Salute nelle Regioni italiane dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Alessandro Solipaca, ha di recente sottolineato che anche "allargando lo sguardo [...] in particolare ai Paesi più avanzati che adottano sistemi Beveridge (tax-financed) o Bismark (social health insurance) abbiamo rilevato che le disuguaglianze maggiori rispetto al livello di istruzione non si riscontrano per i sistemi sanitari di tipo mutualistico", un trend che, nonostante tutto, ci piazza al secondo posto (dopo la Svezia) in termini di uguaglianza sanitaria e che ci conferma come "il modello italiano è comunque tra i migliori, anche in considerazione della maggiore longevità di cui godono i nostri concittadini. La priorità", continua il direttore, "è di incidere sui comportamenti" mediante azioni di informazione e di contrasto alla povertà "anche per migliorare l'efficacia [del welfare], vista la stretta relazione tra la condizione economica e la salute"[2].

Inoltre, secondo l'ISTAT, il 13,2% degli abitanti del Sud Italia addirittura rinuncia alle cure per motivi economici, una percentuale che si dimezza (6,2%) se guardiamo alle Regioni del Nord. Tra i motivi di questo comportamento sociale vi è innanzi tutto la difficoltà economica, ma non bisogna sottovalutare il valore dell'offerta che, purtroppo, presenta una notevole disparità qualitativa se la analizziamo da un punto di vista geografico.

In diverse situazioni questa disparità è legata ad inefficienze nella gestione regionale della Sanità pubblica: fatto che spinge migliaia di persone a spostarsi al Nord per cercare di risolvere un problema di salute. Come suggerisce il Prof. Giuseppe Remuzzi nel suo ultimo libro La salute (non) è in vendita, "per invertire questa rotta si potrebbe far tesoro di esperienze già sperimentate con successo: un gemellaggio di qualità tra i gruppi ospedalieri del Sud e del Nord, tra quelli deboli e meglio attrezzati", come avviene già, ad esempio, per i dipartimenti che si occupano d’insufficienze di organo, di infezioni o di trapianti.

È interessante, da questo punto di vista, analizzare anche quanto studiato dalle ASL di Milano circa il rapporto tra l'aspettativa di vita e il reddito percepito. Come già determinato da numerosi studi e professionisti del settore, tra i quali ad esempio il Prof. Giuseppe Costa che in occasione del Festival dell'Economia di Trento del 2017 ha evidenziato la stretta correlazione tra la povertà di risorse e l'esposizione ai fattori di rischio per la salute, le Aziende Sanitarie Locali del capoluogo lombardo hanno suddiviso la città in 150 distretti, e poi hanno analizzato le condizioni di salute della popolazione. Il risultato conferma quanto detto finora, più cresce il reddito e più si alza l'aspettativa di vita.

Ci sono certamente il patrimonio genetico, l'ambiente e il Servizio Sanitario tra le variabili che determinano l'accessibilità alle cure, ma i fattori che sicuramente influiscono in maniera maggiore si ritrovano nella disparità sociale, nella professione e nel reddito, nella provenienza geografica ed anche nel livello di scolarità, come già sottolineato in passato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel suo dossier dal titolo Determinanti sociali della salute, i fatti, 2008.

Il quadro internazionale e, spesso, intra-nazionale, dipinge scenari in cui situazioni di benessere sanitario risultano estremamente prossime a casi di estrema diseguaglianza, tanto che il Direttore dell'ufficio regionale europeo dell'OMS, Zsuzsanna Iakab, ha sottolineato la necessità di "un appello ai decisori politici e sanitari e un’opportunità per facilitare l’azione di tutti coloro che si dedicano a migliorare gli esiti di salute e a ridurre le disuguaglianze", definendo non equo (health inequities) il gap di salute (health inequalities) e lanciando un appello affinché internazionalmente vengano adottate misure adeguate al suo superamento[3].

Ignazio Marino


[1] G. Remuzzi, La salute (non) è in vendita, ed. Laterza, Bari, 2018