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Il Governo chiede alle Regioni di tagliare sulla sanità pubblica: saltano i fondi e ci rimettono i cittadini

Nell’ultima Legge di bilancio aveva generato particolari speranze la promessa, fatta dal Governo alle Regioni, di un graduale aumento delle risorse destinate al Fondo Sanitario Nazionale che, secondo tale previsione, sarebbe passato dall’attuale somma di 116,4 miliardi a 118 miliardi di euro per il 2021. Stando alle passate dichiarazioni dell’esecutivo ci si aspettava “la garanzia di 2 miliardi in più per il 2020, di 1,5 miliardi per il 2021 e soprattutto […] ulteriori 2 miliardi, da subito, per gli investimenti in sanità, in particolare per l’edilizia sanitaria”, come dichiarato da Stefano Bonaccini, presidente alla Conferenza delle Regioni, in occasione della sigla dell’accordo tra il Parlamento e le amministrazioni locali nel varo della Legge di Bilancio 2019 sottoscritta lo scorso dicembre a Palazzo Chigi assieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e al Ministro della Salute Giulia Grillo[1].

Il nuovo Patto per la salute stilato dal Ministro, però, contiene una clausola inserita nell’articolo 1 che ne comprometterebbe le fondamenta, in quanto renderebbe questi fondi vincolati all’andamento economico e alle esigenze di bilancio nei confronti dell’Unione Europea. Si legge testualmente, infatti, che tali investimenti verrebbero erogati “salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica a variazioni del quadro macroeconomico.

Le reazioni delle amministrazioni regionali non si sono fatte attendere, e così abbiamo assistito all’assessore dell’Emilia-Romagna Sergio Venturi che ha parlato di ‘sconfessione’ dell’accordo siglato a Natale mentre il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, nonché attuale segretario del Partito Democratico, ha minacciato di dare battaglia qualora arrivassero realmente questi tagli alla Sanità[2].

La notizia è arrivata dopo che soltanto pochi giorni fa lo stesso Ministro della Salute aveva dichiarato sui suoi social networks che, con l’esecutivo, l’Italia aveva “finalmente ricominciato a investire sulla sanità pubblica: +4,5 miliardi di euro per il Fondo sanitario nazionale nel triennio 2019-2021. È per questo motivo che il colpo si è sentito maggiormente una volta che le Regioni, riunitesi con il Ministero per consultare il Patto per la salute, lo strumento chiave in merito alle nuove regole per l’assistenza sanitaria, hanno scoperto questa postilla che rischia di vanificare l’aiuto al Sistema Sanitario Nazionale.

Visto e considerato che all’interno dello stesso Patto è presente una previsione di crescita del Pil maggiore a quella attuale è lecito immaginare che le suddette “variazioni del quadro macroeconomico” saranno inevitabili e che, quindi, “si [stia] preparando il taglio di 2 miliardi al fondo sanitario nazionale, un colpo mortale alla sanità ed al diritto alla salute”, come ha definito questa manovra l’assessore alla Sanità e all’Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato. Lo stesso ha in seguito dichiarato come “le Regioni nel documento di avvio del Patto hanno sempre sostenuto l’esigenza di avere un quadro certo dei finanziamenti senza condizionamenti. Il testo proposto dal Ministero apre la strada al taglio del Fondo sanitario nazionale”, concludendo la nota con una repentina richiesta di chiarimenti da parte dello stesso Governo.

All’interno del Patto si parla anche del payback farmaceutico (la redditività dell’industria in caso di superamento di determinate soglie di spesa per i medicinali), fissato a 2,3 miliardi di euro, e il timore è che sia proprio questo il tesoretto ipotizzato come sostitutivo del mancato incremento del Fondo sanitario. Il problema, però, è che tali fondi erano programmati già da anni e conseguentemente figuravano come voci dei bilanci, quindi in caso venissero impiegati per sopperire a quel mancato incremento risulterebbero allo stesso modo un taglio[3].

L’accordo, che avrebbe previsto tra le altre cose l’abbandono definitivo del superticket da 10 euro per ogni ricetta, contribuendo ad un risparmio netto per la cittadinanza, e l’immissione di nuove risorse per far fronte alla progressiva diminuzione del personale medico, sembra essersi quindi compromesso per via di ciò che addirittura il Ministro della Salute ha definito una “clausola di salvaguardia”, giudicata inaccettabile e a suo dire fortemente voluta dal Ministero dell’Economia e della Finanza.

La stessa Grillo, però, sottolinea come questa sia stata presente anche nel precedente Patto 2014-2016che pur prevedendo per l'erogazione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza, n.d.r.) un finanziamento di 115,5 miliardi, ne ha concretamente messi a disposizione 111. Questo schema”, ha poi tuonato, “non si ripeterà più, la Sanità ha già dato tutti i contributi che poteva dare. Dalla Sanità non è più possibile prendere un centesimo. Questo automatismo, che subordina il finanziamento della Sanità alle dinamiche del Pil, io non lo condivido”. Questa posizione è stata fin da subito condivisa dalla Fnopi, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, attraverso una dichiarazione della presidente Barbara Mangiacavalli che ha applaudito tale chiarimento.

Sembra quindi che ci troviamo difronte ad una situazione fin troppo comune, e cioè ad un passaggio di responsabilità che in ogni caso finisce col ripercuotersi su un Sistema, quello della Sanità Nazionale, già abbastanza stressato e al limite della congestione per quanto riguarda la gestione del settore pubblico.

Fermare l’erogazione di questi Fondi, infatti, si ripercuoterebbe sulle nuove assunzioni precedentemente programmate di medici e infermieri nei nostri ospedali, che avevano pianificato “un importo pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente”, e quindi metterebbe le diverse amministrazioni di fronte a situazioni emergenziali di cui abbiamo avuto già un preoccupante assaggio manifestatosi con la riassunzione dei medici in pensione o all’impiego di militari[4].

Ignazio Marino