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La scienza deve tornare al centro del dibattito politico

Quelli che stiamo vivendo sono purtroppo dei tempi in cui viene messa sempre più in discussione l’autorità scientifica di chi ha maturato le competenze e esperienze adatte a ragionare su dati oggettivi. Ed è un’enorme regressione culturale, dal momento che, nella storia, è chiaro da sempre come soltanto con il contributo della scienza si possono raggiungere nuovi traguardi.

Come riportava qualche mese fa l’incipit di un interessantissimo convegno svoltosi all’Università degli Studi di Milano dal titolo Essere cittadini tra scienza, sapere e decisione pubblica, infatti, “a essere sotto attacco, oggi, è il sapere scientifico, a causa di una crescente sfiducia verso il metodo delle prove basate sui fatti, verso le istituzioni e gli scienziati che le rappresentano e verso molti temi di studio della scienza. Il rapporto tra scienza e società influenza le modalità e i contenuti delle decisioni pubbliche trasformando profondamente le società in cui viviamo[1].

È proprio così e le amministrazioni internazionali dovrebbero ascoltare con attenzione i moniti che vengono lanciati dal mondo accademico e scientifico.

La scorsa estate ha purtroppo fornito ulteriori tragici esempi, con l’impressionante deforestazione dell’Amazzonia a causa di incendi, l’analoga situazione in Siberia e la battaglia ecologista che attraverso le parole dell’attivista Greta Thunberg si è fatta portavoce dei danni climatici legati alle azioni irresponsabili dei Governi.

Negli Stati Uniti, la cui amministrazione è attualmente responsabile di gravi ritardi nel riconoscere i danni climatici, esiste un ente istituito da Abraham Lincoln in piena guerra civile e rimasto indipendente sino ad oggi, l’Accademia delle Scienze. Il suo operato è indispensabile, in quanto divulga e pubblica un gran numero di rapporti in modo da diffondere le posizioni degli scienziati sulle problematiche più attuali e da sollecitare la classe dirigente a legiferare in modo più responsabile.

È soltanto attraverso la competenza che potremo rispondere a domande fondamentali quali, ad esempio, la soddisfazione del fabbisogno alimentare di una popolazione mondiale che si stima raggiungerà 11 miliardi di persone nel 2100. Oppure che riusciremo a rimediare all’aumento della desertificazione ambientale attuando le decisioni più appropriate.

Il distacco tra la popolazione e i principi scientifici è anche legato alla scarsa considerazione che molti leader politici mostrano bei confronti degli accademici. Ancora una volta mi affido alle parole del Professor Remuzzi per descrivere perché l’esperienza scientifica dovrebbe essere seguita: “Si sperimenta prima di tutto, poi si analizzano in modo critico tutti i dati a disposizione, si trova una spiegazione ad eventuali inconsistenze e la discussione è sempre aperta, senza pregiudizi, basata per quanto possibile sull’evidenza”.

Quello che fa la scienza è andare avanti “per processi fondati sul dubbio, sul mettere sempre in discussione quello che si sapeva prima, sull’infrangere dogmi, sempre disponibili a ricredersi e a ripartire da capo se altri scienziati portano prove che mettono in discussione le tue. È un continuo miglioramento per “gradi di approssimazione[2], l’esatto opposto, quindi, della deriva assolutista e negazionista che sembra invece prendere sempre più piede all’interno del dibattito pubblico. Negare la dialettica e rifiutare la critica sono due fenomeni che si pongono in netto contrasto con il pensiero scientifico, ed è questo uno dei fattori di maggior distacco tra la scienza e il sentire comune. A completare il cortocircuito ci pensa poi l’agenda politica. Un esempio su tutti? La propaganda contro i vaccini, che è stata persino abbracciata da alcuni partiti politici.

Ma basterebbe fare un passo indietro e prendere in considerazione le parole di Thomas H. Huxley, che definiva la scienza nient’altro che “senso comune opportunamente addestrato e organizzato”, o quelle di Albert Einstein che, invece, usava considerare la scienza “un affinamento del pensiero quotidiano” per realizzare che, in realtà, sia il raggiungimento di risultati scientifici che la costruzione di senso comune si basano sulla raccolta di informazioni per la risoluzione di un determinato problema. La differenza sostanziale tra i due modi di procedere, quindi, “risiede essenzialmente nel fatto che nel primo dei modi le procedure e le scelte adottate devono essere rese esplicite e sistematiche[3].

Il mio auspicio, quindi, è che il mondo scientifico sappia essere persistente nel contrastare chi vorrebbe negare la validità del metodo scientifico e voglia comunicare con persistenza i propri traguardi, oggettivi e dimostrabili attraverso dati certi, in modo che l’opinione pubblica riesca a comprendere come spesso la disinformazione faccia prendere decisioni antiscientifiche che danneggiano tutti noi.

Ignazio Marino


[2] G. Remuzzi, La salute (non) è in vendita, Gius. Laterza & Figli, 2018, Bari

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