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Disposizioni Anticipate di Trattamento, finalmente la firma sul Decreto

Poco tempo fa il Ministro della Salute Roberto Speranza ha posto la sua firma sul decreto che istituisce la Banca Dati nazionale delle Dat (Disposizioni Anticipate di Trattamento), rendendo applicativi in pieno gli strumenti previsti dalla legge sul testamento biologico. Purtroppo, la notizia non ha avuto il giusto riconoscimento e vorrei fare un passo indietro per spiegare in cosa consistono queste disposizioni.

Per Dat si intende il consenso che si firma nel pieno possesso delle proprie capacità mentali al fine di disporre o meno l’eventualità di un trattamento sanitario (anche la semplice idratazione o nutrizione artificiale). Tale disposizione vale nel caso in cui una persona non sia più in grado di esprimere la propria volontà ma vuole ugualmente la libertà di scelta su quali terapie accettare e quali rifiutare.

Attraverso queste Dat tutti gli individui maggiorenni possono esprimere “il consenso o il rifiuto di accertamenti diagnostici e trattamenti terapeutici”. La legge in questo caso consiglia di affidarsi alla consulenza di un medico al fine di avere tutte le informazioni necessarie per indicare la propria volontà.  Queste ultime, a loro volta, dovranno infine essere depositate presso l’ufficio dello Stato Civile del Comune o presso gli uffici della propria ASL.

Se prima, con il consenso informato, era possibile rifiutare ogni tipo di terapia, ora le Dat introducono per la prima volta da un punto di vista legale la possibilità di farlo in maniera preventiva secondo la propria visione della vita.

Ovviamente, la stessa legge prevede la possibilità di revocare o modificare le proprie Dat in qualsiasi momento attraverso il deposito di un nuovo documento in forma scritta o, in caso di impossibilità, mediante l’uso di una “videoregistrazione raccolta da un medico, in presenza di due testimoni[1].

Nel 2006, come presidente della Commissione Sanità del Senato della Repubblica, depositai il disegno di legge ma il clima parlamentare era ostile e trascorsero altri 12 anni, e tre legislature, prima che la legge venisse votata. In seguito, sono passati quasi due anni, e finalmente il Ministro della salute Roberto Speranza è riuscito ad apporre la sua firma sul decreto che dovrebbe adesso avviare la Banca Dati nazionale delle Dat.

Con questo atto la legge approvata dal Parlamento è pienamente operativa e ciascuno di noi ha una libertà di scelta in più”, sono state le prime parole del Ministro, per le quali si è complimentata anche la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni Filomena Gallo che ha ricordato come questa firma rappresenti anche la volontà di più di 10mila persone che si erano già mosse in appello per la causa. “Le Dat depositate presso i Comuni o i notai saranno finalmente immediatamente consultabili dai medici in caso di bisogno, in qualsiasi struttura sanitaria del territorio nazionale”, ha aggiunto la stessa Gallo, che poi ha continuato esortando le Regioni e le aziende sanitarie a rispettare l’articolo 4 comma 8 della legge 219, che le obbliga a informare i cittadini circa la possibilità di redigere le Dat e su cosa comporti questa attività[2].

Un quadro preoccupante, però, ci viene fornito dalla stessa Associazione Coscioni che ci comunica come, esortati 106 Comuni con più di 60mila abitanti, soltanto 73 di questi abbiano risposto all’appello fornendo il numero preciso di Dat ricevute dal momento dell’emanazione della legge. La situazione? Un solo depositario ogni 355 abitanti.

C’è da dire, in ogni caso, che nello scorso anno ne sono state depositate 37.493, un incremento del 23% rispetto al 2018 che lascia intravedere una maggiore consapevolezza nel proteggere i propri diritti.

Stando all’analisi dei dati risulta come siano Trapani, L’Aquila e Roma i Comuni dove sono state presentate un numero minore di Dat, rispettivamente una ogni 1.300, 1.250 e 850 abitanti. Le realtà che hanno invece adottato questo strumento con maggiore consapevolezza risultano essere Pesaro, Matera e Varese, con una Dat depositata ogni 140, 150 e 155 abitanti.

Numeri ancora troppo bassi, che mi fanno condividere le parole del tesoriere della stessa Associazione Coscioni Marco Cappato per il quale la responsabilità è da imputare “alla politica nazionale, [rea dell’] assenza di una campagna informativa”, e a “quella locale per gli ostacoli che i Comuni frappongono ai cittadini”. Infatti, l’84% degli Italiani reputa insufficienti le informazioni in proprio possesso sulle Dat[3].

Secondo una recente ricerca promossa da Vidas, “associazione che offre assistenza sociosanitaria a persone con malattie irreversibili”, e realizzata da Focus Management sulla base di un campione di 1602 cittadini, le più sensibili all’utilizzo delle Dat risultano essere le donne, non credenti, di età compresa tra i 26 e i 40 anni. La stessa ricerca, presentata a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, in seguito alla firma del Ministro Speranza, indica che gli Italiani “sono anche mediamente favorevoli al testamento biologico: tra quanti conoscono la legge (72% degli intervistati) e non hanno sottoscritto le Dat si dichiarano convinti il 51,4%, contrari il 27,4% e indecisi o poco informati il 21,3%”.

Il quadro sociodemografico è assai chiaro: le Regioni più a conoscenza delle Disposizioni anticipate di trattamento risultano essere quelle nord-occidentali, i più favorevoli gli atei o agnostici, con un’età media di 30 anni e con un livello di istruzione medio-alto. I meno informati sono i cittadini credenti, e ultrasettantenni, che vivono al Sud. “Misurando il livello di favore a redigere il biotestamento con una scala da 1 a 7, dove 1 è “assolutamente contrario” e 7 è “assolutamente favorevole”, il valore medio nazionale è 4,5. Le tre regioni più favorevoli sono Basilicata (5,3), Piemonte (4,9) e Lombardia (4,7)[4].

Una situazione analoga a quella già registrata per altri temi nel settore dei diritti civili, e che, a mio parere, sconta una grave mancanza di attenzione e di informazione da parte di diversi Enti istituzionali che dovrebbero sentire il dovere di informare i cittadini sulla loro libertà di scelta sul bene più prezioso e personale: la propria vita e la propria salute.

Ignazio Marino