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Epidemiologia e letteratura, un binomio che ci aiuta nei tempi del coronavirus

La cronaca di questo ultimo periodo ci ha imposto l’obbligo di confrontarci con la ricerca delle giuste informazioni medico-sanitarie e con la gestione del corretto comportamento volto a prevenire e arginare un’epidemia. Tutte le linee guida ufficialmente riconosciute non sono frutto di improvvisazioni bensì di un attento lavoro da parte di professionisti che hanno studiato le caratteristiche del Coronavirus (2019-nCoV) per risalire alle origini del contagio e all’individuazione della specie animale da cui proviene il virus.

Questo lavoro volto ad affrontare in maniera corretta l’emergenza sanitaria ribadisce un concetto imprescindibile: la disciplina che analizza le malattie in rapporto alla loro diffusione, e cioè l’epidemiologia, è e deve rimanere centrale all’interno del programma medico di qualsiasi Paese.

È a partire dal XX secolo che l’epidemiologia ha assunto un ruolo fondamentale per la gestione della salute pubblica, assicurando metodologie sempre più accurate nel comprendere i fattori di rischio delle malattie e per organizzare le risposte da un punto di vista della prevenzione e delle misure di contenimento. La validità della ricerca, in questo caso, è data dalla capacità di coordinare le analisi epidemiologiche con il campo della statistica, della sociologia, della demografia e, ovviamente, della medicina, un’integrazione che permette di capire più in profondità i fattori di diffusione delle malattie. Azione, questa, che si pone come condizione imprescindibile per una corretta prevenzione.

Se risaliamo agli albori della disciplina medica, infatti, fu lo stesso Ippocrate (considerato il padre della medicina) a ipotizzare un collegamento tra una specifica malattia e il contesto ambientale in cui si diffondeva, dando vita a quella che prese il nome di teoria degli umori. Questa prevedeva la messa in equilibrio dei quattro umori che governavano il corpo umano (sangue, bile gialla, bile nera e flegma), e fu ampiamente utilizzata, integrandola di sotto-teorie come quella dei miasmi (gas di decomposizione degli organismi), nei secoli a venire anche da altre popolazioni quali ad esempio quella araba, che attinsero ampiamente dal sapere dell’antica Grecia.

La medicina ha poi compiuto un significativo passo avanti nel 1500 con Fracastoro a Verona, filosofo, astronomo, geografo, letterato e medico, che per primo ipotizzò l’esistenza di “piccole particelle” responsabili, a suo parere, di causare le malattie nel corpo umano. La sua importanza risiede nell’aver messo tutto per iscritto con la sua opera De contagione et contagiosis morbis (1546), che addirittura riportava come tali elementi si potessero trasmettere per via aerea e che dovessero essere inceneriti per debellarli.

Tali ipotesi furono ovviamente confermate dai progressi scientifici ottocenteschi, che portarono alla scoperta degli agenti patogeni quali virus e batteri, individuati come causa della diffusione delle malattie infettive.

L’epidemiologia, dunque, nasce addirittura prima che alcuni processi risultassero effettivamente visibili e misurabili, e si afferma come scienza a partire dallo studio che relazionò la Londra del 1800 con l’enorme diffusione di colera che la investì. Questa fu causata dall’assenza di una rete fognaria e dal conseguente ordine, dato al tempo, di svuotare i pozzi neri cittadini (presenti nei seminterrati delle diverse abitazioni e, ormai, saturi di ogni genere di rifiuto) nel Tamigi. Azione che comportò, ovviamente, la contaminazione delle riserve idriche e la conseguente diffusione di una malattia che nella stessa città, negli anni precedenti, aveva già portato alla morte di oltre 14mila individui. Una malattia causata “da diversi tipi di Vibrio cholerae, un batterio che si sviluppa in acqua e alimenti contaminati con feci umane”, e che è stato possibile studiare a partire dalla formulazione della teoria dei germi, che, a sua volta, ha con fatica sostituito quella precedentemente data per ovvia che riguardava i miasmi.

Il successo di questo passaggio scientifico si deve sicuramente ad un eccentrico medico di York, John Snow, che poco convinto della validità di un presupposto scientifico basato sull’aria “cattiva” studiò le epidemie di colera della capitale arrivando ad individuare nell’acqua contaminata il meccanismo di trasmissione della malattia. Fu lo studio che attuò sull’incidenza della malattia in relazione all’utilizzo urbano di pompe pubbliche e private a gettare le basi della nuova disciplina, l’epidemiologia, una scoperta che mise per iscritto nel 1849 “in un saggio sulle modalità di trasmissione del colera” antesignana dei grandi studi di Louis Pasteur che ebbero luogo più di dieci anni dopo. Cinque anni dopo, focalizzandosi sull’infezione che aveva colpito una particolare strada (Broadwick Street) di Soho, Snow prelevò un campione dell’acqua contaminata e la utilizzò per spiegare la diffusione della malattia, tanto da spingere l’amministrazione alla chiusura di quella pompa idrica.

Da questo secondo lavoro dell’epidemiologo si evince come sia strettamente correlata l’analisi medica con quella geografico-statistica, dal momento che al suo interno si può ritrovare addirittura un censimento delle diverse pompe d’acqua di Londra più o meno evidenziate in base alla presenza di focolai del batterio.

Nonostante il suo lavoro, arricchito anni dopo da Filippo Pacini che per primo identificò il vibrione del colera, e da Robert Koch che lo descrisse come agente patogeno, il paradigma medico in uso (e cioè la teoria dei miasmi) impiegò diversi decenni prima di lasciare il passo a queste nuove scoperte scientifiche.

Ma tutti coloro che oggi sono al lavoro nel mondo per difendere la popolazione dal Coronavirus raggiungeranno l’importante obiettivo di fermare l’epidemia grazie anche all’opera di John Snow, il primo ad individuare la giusta correlazione tra agenti patogeni e malattie infettive e ad aver collegato diverse conoscenze scientifiche al servizio della salute pubblica.

È per questo motivo che “a Soho, all’incrocio tra Broadwick e Lexington Street, la riproduzione di una pompa pubblica ricorda il lavoro di Snow e il suo contributo nell’arginare l’epidemia di colera nel quartiere a metà Ottocento”, lavoro che ogni anno viene ricordato dall’Associazione John Snow per rendere omaggio al padre dell’epidemiologia moderna[1].

Prof. Ignazio Marino